A proposito del blue Monday

Alassio

Forse avrete sentito da qualche parte che oggi, terzo lunedì di gennaio, è il cosiddetto Blue Monday, il lunedì blu: ovvero il giorno più triste e deprimente dell’anno. C’è addirittura una serissima formula scientifica che lo dimostra, calcolando come diversi fattori (i cieli grigi e la pioggia, la fine delle feste, i sensi di colpa per aver speso e mangiato troppo durante le vacanze, la consapevolezza del precoce fallimento dei buoni propositi, la ripresa delle monotone giornate lavorative) si vadano perfidamente a combinare per metterci il magone. Ovviamente è una bufala, elaborata nel 2005 dall’ufficio marketing di un’agenzia di viaggi – che magnanimamente voleva salvare l’umanità dal Blue Monday offrendo voli scontati.

Ammetto che la mia giornata non è stata proprio scoppiettante 🙂 Però a me la faccenda interessa più che altro per introdurre un altro tema: perché questo lunedì è blu, e perché il blu viene associato alla tristezza? Nella lingua inglese, nelle giornate no si può dire che ci si sente blu, e the blues, come sostantivo, è sinonimo di sconforto, avvilimento, depressione. Pare che questi significati discendano dall’espressione “to have the blue devils”, avere i diavoli blu, per indicare uno stato di tristezza e malinconia (attestata fin dal diciassettesimo secolo). Da questo modo di dire deriva anche il nome del blues, il genere musicale che ha le sue radici nei canti sconsolati delle comunità afroamericane che lavoravano in condizioni di schiavismo nelle piantagioni agricole degli Stati Uniti meridionali intorno alla fine del diciannovesimo secolo.

Eppure questo blu è molto di più, infinito come il cielo e il mare della Marsiglia di Jean-Claude Izzo:

Dal cielo al mare, era un’infinita varietà di blu. Per il turista, quello che viene dal nord, dall’est o dall’ovest, il blu è sempre blu. Solo dopo, quando ci si sofferma a guardare il cielo e il mare, ad accarezzare con gli occhi il paesaggio, se ne scoprono altre tonalità: il blu grigio, il blu notte e il blu mare, il blu scuro, il blu lavanda. O il blu melanzana, nelle sere di temporale. Il blu verde. Il blu rame del tramonto, prima del mistral. O quel blu così pallido, quasi bianco. 

Il blu è da sempre il mio colore preferito, in tutte le sue tonalità. Quando preparo lo zaino prima di una partenza e metto tutto sul letto per decidere cosa portare con me e cosa lasciare a casa mi viene da sorridere, perché ho quasi solo vestiti blu. Ho dipinto la porta e la finestra della mia camera di blu, adoro i mirtilli probabilmente solo perché son blu. Amo la parola che lo indica: tre lettere che formano una sequenza infantile, glossolalica, con quella terminazione in u così rara nella lingua italiana. Come nelle Mille bolle blu di Mina, dove ogni ritornello è introdotto da un giocoso passaggio delle dita sulle labbra. Blu è il colore dei begli occhi in cui si svolge il sogno di Modugno, in quella bellissima canzone che è Volare; sempre più blu è il cielo dei disgraziati cantati da Rino Gaetano; blu è la Torpedo che dà a Gaber quel tono di gioventù…

Il blu è il colore primario più freddo. Si dice sia il colore dell’armonia, della tranquillità, dell’introspezione. Nell’antichità era malvisto perché era il colore degli occhi dei barbari, poi con l’avvento del Cristianesimo è stato associato alle vesti della Madonna e ha cominciato a evocare pace e serenità. In contrapposizione alle accezioni di tristezza e malinconia di cui parlavo prima, la connotazione positiva del blu è prevalente e trasversale alle varie epoche e culture, significando di volta in volta lealtà, nobiltà, sincerità, verità. E ancora l’ascolto, la pacatezza, la forza d’animo, gli alti ideali, la saggezza, la fiducia… Poi queste cose uno le può anche considerare fregnacce, ma quello che so per certo è che a me il blu rilassa e fa star bene. Potrei stare le ore a fissare il mare. Sulla linea del “è nato prima l’uovo o la gallina”, non so se amo il blu perché è il colore del mare o se amo il mare perché è blu (e se il mare fosse giallo?), però condivido quella frase di Matisse “un certain bleu pénètre votre âme”, un certo blu può penetrare l’anima.

La Conversation, Henri Matisse
La Conversation, Henri Matisse 1908-1912, Hermitage, S. Pietroburgo

La cosa buffa dei colori è che la questione dei loro nomi, e di quale colore corrisponda a quale nome, è da sempre molto incerta. Questo perché le persone vedono i colori in modo differente, e gli stessi pantaloni che a noi sembrano verdi sono senza ombra di dubbio marroni per la commessa del negozio. Senza parlare della diversa sensibilità maschile e femminile: dove un uomo vede blu, una donna vede almeno quattro tonalità diverse – il che porta spesso a lunghe discussioni su quale maglione comprare. Queste sono le tonalità di blu elencate da Wikipedia (in italiano):

Carta da zucchero, Blu alice, Acquamarina, Ciano, Blu polvere, Blu chiaro, Pervinca Celeste, Blu fiordaliso, Blu scuro, Lavanda, Blu Dodger, Azzurro, Blu acciaio, Ceruleo Blu, Savoia Denim, Blu ceruleo, Blu reale, Blu Cobalto, Blu di Persia, Blu pavone, Int. Klein Blue, Blu notte, Indaco, Blu di Prussia, Blu oltremare, Blu marino, Zaffiro, Denim chiaro, Blu Bondi, Acqua, Fiordaliso, Blu cadetto, Blu elettrico.

Non mi esprimo sulle altre lingue, perché la questione si complicherebbe ulteriormente. Solo restando nel campo delle lingue romanze, in spagnolo e in portoghese il blu si chiama azul… Altre lingue, come il giapponese e il thailandese, non distinguono il blu dal verde. La faccenda del relativismo linguistico applicato ai colori è molto interessante, a ulteriore conferma che l’esperienza che facciamo delle cose è dettata da molteplici fattori, tra cui quello culturale.

i blu di Marrakech

Nell’elenco che ho riportato sopra ci sono sia colori naturali che colori sintetici. Tra i primi l’indaco, che deriva dall’omonimo colorante di origine vegetale, estratto dalle foglie di Indigofera tinctoria, oppure i preziosi pigmenti di blu oltremare, che venivano ricavati dalla macinazione dei lapislazzuli estratti in Oriente. Il blu cobalto, invece, fu sintetizzato per la prima volta nel 1802 dal chimico Louis Jacques Thenard a partire dai sali di cobalto (l’etimologia del cobalto stesso è bellissima: pare che il nome evochi quello dei coboldi, i malefici folletti della mitografia germanica che, secondo i minatori tedeschi, facevano loro trovare questo minerale povero e velenoso al posto dell’agognato oro). Era molto apprezzato dai pittori, perché era molto stabile e facilitava l’asciugatura dei dipinti a olio. Il blu pervade la storia dell’arte moderna, dai cieli stellati degli impressionisti, al movimento Der Blaue Reuter – che per Kandinsky rappresentava la spiritualità e l’eternità – fino alla melanconia di Picasso nel suo periodo blu. Qualche decennio più avanti, attorno al colore blu si concentrò la ricerca artistica di Yves Klein, che ne studiò la potenza espressiva in una serie di quadri monocromatici e arrivò a dare il nome a una tonalità di blu oltremare molto profondo e brillante, l’International Klein Blue o IKB.

Ed ecco tracciata una piccola storia del blu, attraverso le sue sfumature e i suoi significati, quelli felici e quelli tristi. Eppure anche quella macchia blu da cui sono partita, se ho capito bene, è una tristezza vaga, una melancolia, che porta il pensiero a sciogliersi nel blu dell’infinito, che affascina e allo stesso tempo mette paura. Un sentimento che forse può ricordare quella saudade a cui questo blog deve il suo nome? Dissolvenza… in blu.

Ó mar salgado, quanto do teu sal / São lágrimas de Portugal . . .
Ó mar salgado, quanto do teu sal / São lágrimas de Portugal . . .