The True Hammam Experience

Mosaici a Marrakech

Abdel ci ha accompagnate fino all’ingresso dell’hammam, abbiamo portato con noi solo un sacchetto di plastica con dentro un asciugamano e 100 dirham in mano. Ci ha salutate dicendo di aspettare “les filles“, che si sarebbero prese cura di noi. “Les filles” sono poi arrivate: due vecchie signore serissime, una grassa e piena, l’altra magra e rinsecchita – entrambe nude e sciabattanti. Ci siamo spogliate anche noi e siamo rimaste ad aspettare che tornassero. Non sapevamo bene cosa fare e come muoverci, allora ci siamo fatte prendere docilmente per mano e accompagnare nella prima stanza, la più calda, dove ci siamo sedute per terra a sudare in attesa della mossa successiva.

Le donne marocchine, spesso coperte da capo a piedi nelle strade e nelle piazze, si spogliano nell’hammam di ogni velo e remora. Arrivano da sole o con le amiche, per lavarsi a vicenda. I pigri e gli imbranati, invece, possono delegare tutto il lavoro e farsi lavare dalle energiche tebbaya. È un po’ imbarazzante all’inizio, ma poi ti rendi conto che l’unico modo possibile per godersi l’esperienza è chiudere gli occhi e abbandonarsi alle mani esperte delle filles. La mia signora era la grassa, con due seni lunghi ed enormi che venivano sballottati a destra e a sinistra mentre spostava i pesanti secchi di acqua calda facendoli scivolare sul pavimento bagnato da una stanza all’altra. Mi ha preso e mi ha ricoperto tutta di sapone nero untuoso, mi ha rigirato come una cotoletta, mi ha mollato di nuovo da sola. Quando ho riaperto gli occhi ho visto la Cecilia in mutande che veniva a sua volta spupazzata dalla signora rinsecchita e mi è venuto da ridere 🙂 Poi la mia signora è tornata e ha cominciato a strofinarmi con una spugna finché ogni centimetro del mio corpo si è purificato della pelle morta, della sabbia del deserto, di tutti i peccati del mondo. Ogni tanto mi gettava a tradimento un secchio d’acqua calda in testa o in faccia. Le altre ragazze nella stanza non ci filavano di striscio.

Ormai alla mercé della signora grassa e della signora magra ci siamo spostate in un’altra stanza, dove ci hanno fatto stendere sul pavimento bagnato prima a pancia in giù e poi a pancia in su. Con un massaggio vigoroso hanno sciolto le tensioni delle nostre ormai morbidissime membra fin sotto le piante dei piedi; con fare dittatoriale ci hanno fatto accoccolare nel loro grembo, alzare e aprire le gambe, allungare le braccia, rigirare sopra e sotto, appoggiare la testa sui loro cosciotti. Delle bambole di pezza, praticamente. Il massaggio si conclude con un altro paio di secchiate d’acqua alla Buster Keaton e les filles si apprestano a lasciarci. Sussurro choukran, grazie. La signora grassa abbozza per la prima volta un vago sorriso e si dilegua.

Usciamo alla luce del sole coi nostri sacchetti di plastica, gli occhi bruciano ancora un po’ a causa del sapone. Ci sentiamo bene, pulite e leggere. Ridiamo del nostro essere state maltrattate e sballottate, del modo spiccio in cui la nostra pudicizia è andata a farsi benedire, dell’intimità inaspettata. Il riso liberatorio di due bambine dalla pelle di pesca, sperdute e felici.

Il Jardin Majorelle di Marrakech

Il pittore Jacques Majorelle (1886-1962) arrivò in Marocco nel 1919, durante il protettorato francese. Poco male se i suoi acquerelli non sono passati alla storia, perché la sua vera opera d’arte è il giardino che realizzò attorno alla bella villa cubista tra il moresco e l’art déco, costruita a Marrakech per lui nel 1931 dall’architetto Paul Sinoir. La sua idea era quella di creare un lussureggiante giardino tropicale sulle basi di un giardino islamico (l’ombra, i fiori, l’acqua), tanto fitto che i raggi del sole quasi non vi potessero filtrare. Al verde smeraldo della natura fanno da contrasto le architetture dell’uomo, le fontane rosso melograno, i vasi di ceramica giallo limone, i muri dipinti di quel blu così blu che ha addirittura preso il nome di chi lo dipinse, bleu Majorelle. “Un giardino impressionista”, “una cattedrale di forme e colori”… Lo aprì al pubblico nel 1947 e se ne prese cura fino alla sua morte, quando il giardino fu abbandonato. Lo comprarono nel 1980 Yves Saint Laurent e il suo compagno Pierre Bergé, restituendolo all’antico splendore. Questo fu il loro buen retiro; le ceneri dello stilista, morto nel 2008, sono state disperse nel roseto. Dal punto di vista botanico, il giardino accoglie più di trecento specie rare da tutto il mondo: palme, cactus, aloe, bambù, gelsomini, ninfee, fiori di loto posati sull’acqua fresca, bougainvilles rosa fucsia che si arrampicano lungo i pergolati. È un’oasi nel deserto, un luogo mistico, un’esplosione di colori brillanti, vita, allegria sgargiante, gli insetti che ronzano, qualche farfalla, gli uccellini che si intravedono tra i rami e che cantano senza sosta. Però bisogno arrivare presto, prima che cominci ad affollarsi e si dissolva la magia: il Jardin Majorelle è una delle attrazioni turistiche più visitate di tutto il Marocco.

Leggere Baudelaire a Marrakech

Étonnants voyageurs ! quelles nobles histoires / Nous lisons dans vos yeux profonds comme les mers! / Montrez-nous les écrins de vos riches mémoires, / Ces bijoux merveilleux, faits d’astres et d’éthers. // Nous voulons voyager sans vapeur et sans voile! / Faites, pour égayer l’ennui de nos prisons, / Passer sur nos esprits, tendus comme une toile, / Vos souvenirs avec leurs cadres d’horizons. // Dites, qu’avez-vous vu?

A Marrakech, nella zona nord della medina e a pochi passi dalla Medersa Ali Ben Youssef, c’è la piccola Maison de la Photographie. È stata allestita in un riad e, a rotazione, propone mostre fotografiche su vari temi. Quando siamo andate noi, il tema della mostra era Étonnants voyageurs, dal titolo di una poesia di Charles Baudelaire.

“La prima epoca dei viaggi in Marocco risale all’Ottocento, fino al 1910 circa: è a Tangeri che si ritrovano gli europei in viaggio. Diplomatici e militari, commercianti e avventurieri, missionari e archelogi, pittori e scrittori. Cosa vedevano dunque coloro i cui occhi, secondo Baudelaire, sono profondi come i mari? La mervaviglia, le meraviglie: luci, colori, gli uomini, le donne, musiche e danze, architetture… le muse. […] I ritratti sono onnipresenti: ma noi cerchiamo sempre, noi viaggiatori delle nostre vite, di scrutare nel mare immenso dello sguardo degli altri, la questione fondamentale. Questi fotografi hanno anche scritto dei testi, che spesso accompagnano le fotografie in mostra: nel leggerli, si percepisce meglio la modernità fotografica. L’immagine è libera di significare altro, altrimenti, a differenza  dei testi che appaiono obsoleti e rimandano a uno sguardo dal passato. L’immagine rivela la sua forza iconica e potente, sempre aperta alla reinterpretazione. Étonnants voyageurs è un tentativo di illustrare le visioni, le pose, di quelli che sono arrivati in questo Paese alla ricerca del senso sultimo della vita. Al di là dell’infinita varietà degli esseri, del tempo e dello spazio, i nostri occhi incontrano gli occhi di coloro che, come noi, hanno camminato con il volto nel vento, si sono impiastricciati le dita di miele, hanno colto fichi profumati, hanno dormito sotto gli ulivi secolari, hanno amato, e sono morti”.

Sul tetto terrazzato della Maison c’era il wifi e Chiara ha cercato sul suo telefono la traduzione italiana di Étonnants voyageurs; l’ha letta tutta d’un fiato, mentre io l’ascoltavo. È una poesia lunga e possente, che parte leggera e si concluse angosciosa.

Charles Baudelaire tradotto da Antonio Prete
(Da: Zibaldoni, anno quinto, III serie, 9 maggio 2006.)

Le Voyage (Il viaggio)

         A Maxim du Camp

I

Pour l’enfant, amoureux de cartes et d’estampes,
L’univers est égal à son vaste appétit.
Ah ! que le monde est grand à la clarté des lampes!
Aux yeux du souvenir que le monde est petit!

Un matin nous partons, le cerveau plein de flamme,
Le coeur gros de rancune et de désirs amers,
Et nous allons, suivant le rythme de la lame,
Berçant notre infini sur le fini des mers:

Les uns, joyeux de fuir une patrie infâme;
D’autres, l’horreur de leurs berceaux, et quelques-uns,
Astrologues noyés dans les yeux d’une femme,
La Circé tyrannique aux dangereux parfums.

Pour n’être pas changés en bêtes, ils s’enivrent
D’espace et de lumière et de cieux embrasés;
La glace qui les mord, les soleils qui les cuivrent,
Effacent lentement la marque des baisers.

Mais les vrais voyageurs sont ceux-là seuls qui partent
Pour partir ; coeurs légers, semblables aux ballons,
De leur fatalité jamais ils ne s’écartent,
Et sans savoir pourquoi, disent toujours : Allons!

Ceux-là, dont les désirs ont la forme des nues,
Et qui rêvent, ainsi qu’un conscrit le canon,
De vastes voluptés, changeantes, inconnues,
Et dont l’esprit humain n’a jamais su le nom!

I

Per il ragazzo che ama scrutare carte e stampe
l’universo è a misura del suo sogno profondo.
Il mondo è sconfinato al lume delle lampade!
Agli occhi del ricordo com’è piccolo il mondo!

Un mattino, i pensieri in fiamme, noi partiamo:
ci pungono rancori, e desideri amari.
Ma andiamo: persi nel ritmo dell’onda, culliamo
questo nostro infinito sul finito dei mari.

Gli uni una patria infame fuggono, altri i natali
orribili, altri, astrologhi che hanno fatto naufragio
negli occhi di una donna, della Circe fatale
fuggon la tirannia e il profumo malvagio.

Per non esser mutati in bestie, ecco l’ebbrezza
di spazi e luci e cieli infocati di braci.
Il sole che li strugge, il gelo che li sferza
lentamente cancellano le ferite dei baci.

Ma i veri viaggiatori partono per partire:
cuori leggeri, come palloni in alto vanno,
il loro corso mai vorrebbero smarrire,
dicono sempre “andiamo!”, ed il perché non sanno.

I loro desideri hanno forma di nuvole.
Come il coscritto sogna il cannone, essi anelano
a voluttà immense, sconosciute e mutevoli,
dal nome che a nessuno davvero si disvela.

II

Nous imitons, horreur ! la toupie et la boule
Dans leur valse et leurs bonds ; même dans nos sommeils
La Curiosité nous tourmente et nous roule,
Comme un Ange cruel qui fouette des soleils.

Singulière fortune où le but se déplace,
Et, n’étant nulle part, peut être n’importe où!
Où l’Homme, dont jamais l’espérance n’est lasse,
Pour trouver le repos court toujours comme un fou!

Notre âme est un trois-mâts cherchant son Icarie;
Une voix retentit sur le pont : « Ouvre l’oeil! »
Une voix de la hune, ardente et folle, crie:
« Amour… gloire… bonheur ! » Enfer ! c’est un écueil!

Chaque îlot signalé par l’homme de vigie
Est un Eldorado promis par le Destin;
L’Imagination qui dresse son orgie
Ne trouve qu’un récif aux clartés du matin.

Ô le pauvre amoureux des pays chimériques!
Faut-il le mettre aux fers, le jeter à la mer,
Ce matelot ivrogne, inventeur d’Amériques
Dont le mirage rend le gouffre plus amer?

Tel le vieux vagabond, piétinant dans la boue,
Rêve, le nez en l’air, de brillants paradis;
Son oeil ensorcelé découvre une Capoue
Partout où la chandelle illumine un taudis.

II

Imitiamo la trottola che danzando si svolge,
la palla che rimbalza, e persino dormendo,
lei, la Curiosità, ci tormenta e rivolge
come Angelo che in alto sferzi i soli tremendo.

È una sorte ben strana: la meta si disloca,
può essere dovunque, eppure mai si mostra.
L’Uomo, la cui speranza non diviene mai fioca,
chiede riposo e folle gira come una giostra.

È l’anima un naviglio che cerca la sua Icaria.
“Attenzione !” si sente gridare dalla soglia
del ponte, e dalla coffa un grido incendia l’aria:
“Gloria… piacere… amore…!”. Dannazione! uno scoglio!

Ogni isola avvistata da quello ch’è di scolta
pare un verde Eldorado promesso dal Destino,
la Fantasia che già nell’orgia era disciolta
scorge soltanto un banco al lume del mattino.

Povero innamorato di regioni chimeriche!
Ti metteranno ai ferri, ti getteranno in mare,
ubriaco marinaio, inventore d’Americhe,
il cui miraggio rende gli abissi più amari?

Così il vecchio barbone, se la melma calpesta,
sogna, col naso all’aria, paradisiaci cieli,
con lo sguardo stregato una Capua egli avvista
ovunque una candela un tugurio riveli.

III

Étonnants voyageurs ! quelles nobles histoires
Nous lisons dans vos yeux profonds comme les mers!
Montrez-nous les écrins de vos riches mémoires,
Ces bijoux merveilleux, faits d’astres et d’éthers.

Nous voulons voyager sans vapeur et sans voile!
Faites, pour égayer l’ennui de nos prisons,
Passer sur nos esprits, tendus comme une toile,
Vos souvenirs avec leurs cadres d’horizons.

Dites, qu’avez-vous vu?

III

Viaggiatori mirabili! Quali nobili storie
leggiamo nei vostri occhi, profondi come mari!
Mostrateci gli scrigni delle vostre memorie,
gioielli d’astri e d’etere, meravigliosi e rari.

Vogliamo navigare senza vapore e vela.
Per ridurre la noia d’una vita murata,
offrite ai nostri spiriti, tesi come una tela,
tutti i vostri ricordi da orizzonti cerchiati.

Dite: che avete visto?

IV

« Nous avons vu des astres
Et des flots ; nous avons vu des sables aussi;
Et, malgré bien des chocs et d’imprévus désastres,
Nous nous sommes souvent ennuyés, comme ici.

La gloire du soleil sur la mer violette,
La gloire des cités dans le soleil couchant,
Allumaient dans nos coeurs une ardeur inquiète
De plonger dans un ciel au reflet alléchant.

Les plus riches cités, les plus beaux paysages,
Jamais ne contenaient l’attrait mystérieux
De ceux que le hasard fait avec les nuages.
Et toujours le désir nous rendait soucieux!

– La jouissance ajoute au désir de la force.
Désir, vieil arbre à qui le plaisir sert d’engrais,
Cependant que grossit et durcit ton écorce,
Tes branches veulent voir le soleil de plus près!

Grandiras-tu toujours, grand arbre plus vivace
Que le cyprès? – Pourtant nous avons, avec soin,
Cueilli quelques croquis pour votre album vorace,
Frères qui trouvez beau tout ce qui vient de loin!

Nous avons salué des idoles à trompe;
Des trônes constellés de joyaux lumineux;
Des palais ouvragés dont la féerique pompe
Serait pour vos banquiers un rêve ruineux;

Des costumes qui sont pour les yeux une ivresse;
Des femmes dont les dents et les ongles sont teints,
Et des jongleurs savants que le serpent caresse.»

IV

“Abbiamo visto astri,
e poi alti marosi, e deserti, ma sì,
nonostante gli choc, gli improvvisi disastri,
ci siamo anche annoiati, e spesso, come qui.

Sopra il viola del mare la gloria alta del sole,
la gloria delle mura quando il sole è cadente,
nell’anima accendevano un inquieto ardore
d’affondare in un cielo dal riflesso splendente.

Ricchissime città, paesaggi incantevoli,
non raggiungono mai il fascino segreto
dei paesi che il caso disegna con le nuvole.
E il desiderio sempre ci rendeva inquieti.

Il godimento dà al desiderio forza.
Desiderio, vecchio albero, il piacere è concime,
più sul tronco si fa dura e forte la scorza,
più sfiorano i tuoi rami il celeste confine.

Crescerai sempre, grande albero, più vivace
del cipresso? Comunque, con molta cura abbiamo
preso schizzi da dare al vostro album vorace,
fratelli che apprezzate ciò che vien da lontano.

Abbiamo visto idoli dal volto elefantesco,
troni ingemmati con intarsio luminoso,
palazzi lavorati con cesello fiabesco:
per il vostro banchiere un sogno rovinoso.

Costumi che a guardarli t’infondono un’ebbrezza,
donne che si dipingono sia le unghie che i denti,
esperti giocolieri che il serpente carezza”.

V

Et puis, et puis encore?

V

E poi, e poi ancora?

VI

« Ô cerveaux enfantins!

Pour ne pas oublier la chose capitale,
Nous avons vu partout, et sans l’avoir cherché,
Du haut jusques en bas de l’échelle fatale,
Le spectacle ennuyeux de l’immortel péché:

La femme, esclave vile, orgueilleuse et stupide,
Sans rire s’adorant et s’aimant sans dégoût;
L’homme, tyran goulu, paillard, dur et cupide,
Esclave de l’esclave et ruisseau dans l’égout;

Le bourreau qui jouit, le martyr qui sanglote;
La fête qu’assaisonne et parfume le sang;
Le poison du pouvoir énervant le despote,
Et le peuple amoureux du fouet abrutissant;

Plusieurs religions semblables à la nôtre,
Toutes escaladant le ciel ; la Sainteté,
Comme en un lit de plume un délicat se vautre,
Dans les clous et le crin cherchant la volupté;

L’Humanité bavarde, ivre de son génie,
Et, folle maintenant comme elle était jadis,
Criant à Dieu, dans sa furibonde agonie:
“Ô mon semblable, ô mon maître, je te maudis!”

Et les moins sots, hardis amants de la Démence,
Fuyant le grand troupeau parqué par le Destin,
Et se réfugiant dans l’opium immense!
– Tel est du globe entier l’éternel bulletin.»

VI

“O infantili menti!

Per non dimenticare la cosa capitale
dappertutto abbiam visto, senza averlo cercato,
lungo tutti i gradini della scala fatale,
il noioso spettacolo dell’eterno peccato:

la donna, schiava vile, stupida ed orgogliosa,
senza ironia amarsi, senz’ombra di vergogna;
l’uomo, tiranno cupido, ghiotto, duro, vizioso,
schiavo della sua schiava, rivoletto di fogna;

e il singulto del martire, del boia l’allegrezza,
la festa che fa sapido il sangue e profumato,
l’amaro del potere che ogni despota spezza,
il popolo che gode se abbrutito e frustato;

più d’una religione che alla nostra è parente
dar la scalata al cielo; e poi la Santità,
come sopra le piume del letto un gaudente,
con i chiodi e i cilici cercar la voluttà;

l’Umanità, ubriaca del suo genio, boriosa,
anche ora come un tempo, folle levare un grido
a Dio rivolta, in una agonia furiosa:
‘Mio signore, mio simile, ecco, ti maledico!’;

e i meno sciocchi, fieri amanti di Demenza,
sottrarsi al grande gregge raccolto dal Destino,
rifugiarsi nell’oppio, dentro la sua potenza.
– Questo è del globo intero l’eterno bollettino”.

VII

Amer savoir, celui qu’on tire du voyage!
Le monde, monotone et petit, aujourd’hui,
Hier, demain, toujours, nous fait voir notre image:
Une oasis d’horreur dans un désert d’ennui!

Faut-il partir ? rester ? Si tu peux rester, reste;
Pars, s’il le faut. L’un court, et l’autre se tapit
Pour tromper l’ennemi vigilant et funeste,
Le Temps ! Il est, hélas ! des coureurs sans répit,

Comme le Juif errant et comme les apôtres,
À qui rien ne suffit, ni wagon ni vaisseau,
Pour fuir ce rétiaire infâme : il en est d’autres
Qui savent le tuer sans quitter leur berceau.

Lorsque enfin il mettra le pied sur notre échine,
Nous pourrons espérer et crier : En avant!
De même qu’autrefois nous partions pour la Chine,
Les yeux fixés au large et les cheveux au vent,

Nous nous embarquerons sur la mer des Ténèbres
Avec le coeur joyeux d’un jeune passager.
Entendez-vous ces voix, charmantes et funèbres,
Qui chantent : « Par ici ! vous qui voulez manger

Le Lotus parfumé ! c’est ici qu’on vendange
Les fruits miraculeux dont votre coeur a faim;
Venez vous enivrer de la douceur étrange
De cette après-midi qui n’a jamais de fin!»

À l’accent familier nous devinons le spectre;
Nos Pylades là-bas tendent leurs bras vers nous.
« Pour rafraîchir ton coeur nage vers ton Électre!»
Dit celle dont jadis nous baisions les genoux.

VII

Ma è un sapere amaro quel che si trae dai viaggi!
Il mondo è eguale e piccolo, così in tutte le ore,
oggi, ieri, domani, rinvia la nostra immagine:
nel deserto di noia un’oasi di orrore!

Partire? O restare? Resta, se puoi restare,
parti, se devi. Uno va, l’altro si rintana
per ingannare il Tempo, avversario fatale
e vigile. C’è chi mai posa, e s’allontana,

come l’Ebreo errante, o l’Apostolo, al quale
non basta certo il treno e neppure il vascello
per sfuggire all’infame reziario; c’è chi assale
invece il tempo senza uscire dal cancello.

Quando poi la sua zampa sentiremo vicina
al dorso, grideremo “avanti!” con speranza.
Come un tempo ci accadde di partir per la Cina,
con i capelli al vento, lo sguardo in lontananza,

ci imbarcheremo un giorno sul mare delle Tenebre,
avendo il cuor leggero d’un giovane viandante.
Sentite queste voci affascinanti e funebri
che cantano: “Di qui, voi, voi che siete amanti

del Loto profumato: qui si può vendemmiare
il frutto misterioso che il desiderio affina.
Venite, e la dolcezza gustate singolare
di questo pomeriggio che mai non declina”.

Rivela un noto spettro il familiare accento;
laggiù ciascuno ha un Pilade che l’invoca e l’adocchia:
“Alla tua Elettra vieni se vuoi un lenimento!”,
dice quella cui un tempo baciammo le ginocchia.

VIII

Ô Mort, vieux capitaine, il est temps! levons l’ancre!
Ce pays nous ennuie, ô Mort! Appareillons!
Si le ciel et la mer sont noirs comme de l’encre,
Nos coeurs que tu connais sont remplis de rayons!

Verse-nous ton poison pour qu’il nous réconforte!
Nous voulons, tant ce feu nous brûle le cerveau,
Plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu’importe?
Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau!

VIII

Su, Morte, capitano, è tempo di salpare!
Via l’ancora, m’annoia troppo questo paese.
Se neri come inchiostro sono il cielo ed il mare,
le nostre menti, sai, di luce sono accese.

Versaci il tuo veleno: esso ci riconforta!
Vogliamo, tanto forte ci brucia dentro un fuoco,
andar giù nell’abisso: Cielo o Inferno, che importa?
Fino in fondo all’Ignoto per incontrare il nuovo!