Trieste tra le pagine: Slataper, Svevo, Joyce, Saba

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Canottieri a Trieste, visti dal Molo Audace

Trieste è un luogo particolare. Una città di frontiera, che le vicende storiche hanno isolato a lungo dal resto d’Italia, punto d’incontro tra lingue e culture diverse, sospesa tra il mito mitteleuropeo e quello di una letteratura unica, inquieta, malinconicamente enracinée. Sono molti i personaggi che hanno reso Trieste luogo fortissimamente letterario: incontriamo Scipio Slataper, caduto sul Podgora nel 1915 a soli ventisette anni, che cammina di notte per i vicoli della città vecchia, annoiato e a disagio mentre visioni postribolari si succedono davanti ai suoi occhi di ragazzo, o all’alba lungo i moli, osservando il frenetico svegliarsi del porto e dei suoi lavoranti: Il sole strabocca aranciato sul retto filo grigio dei magazzini. Il sole è chiaro sul mare e nella città. Sulle rive Trieste si sveglia piena di moto e colori (da Il mio carso, 1912).

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Il sole, mentre strabocca aranciato…

È un lungo elenco che inizia come una favola a raccontare la Trieste di Svevo:

 C’era una volta un’imperialregia città austroungarica fornita di:

- 200.000 e rotti abitanti, fra cui slavi, tedeschi, greci, albanesi, inglesi, armeni,   ungheresi, italiani aborigeni e italiani regnicoli, levantini in genere;
- 5498 ebrei, sale della terra;
- qualche migliaio di banche e compagnie d’assicurazione;
- uno sterminio di ditte commerciali;
- quattro porti con relative navi, fumo, puzza e inquinamento;
- cinque cimiteri di cinque religioni diverse;
- chiese cattoliche, greco-orientali, serbo-orientali, protestanti, sinagoghe, taverne,  caffè concerto, tabarin, postriboli, biblioteca, associazioni letterarie, musei, 
  teatri, scuole in tre lingue;
- liberali, conservatori, irredentisti di parte slava e di parte italiana, socialisti,   qualunquisti;
- un agguerrito ufficio della K. und K. Polizei per sorvegliare tutta questa gente;
- un segretissimo distaccamento dell’Evidenz Bureau (controspionaggio imperiale) 
  per meglio controllare il tutto;
- un arciduca morto ammazzato come Imperatore del Messico, rarità assoluta;
- un insegnante di inglese alla Berlitz School che si chiamava James Joyce.

In siffatto strabiliante panorama non poteva mancare uno sconcertante caso 
clinico-letterario di doppia personalità. Stiamo parlando naturalmente di 
Ettore Schmitz, in arte Italo Svevo (…).[1]

In questa città che sembra un romanzo nasce e vive l’autore della Coscienza di Zeno. Scarse o volutamente falsate le notazioni topografiche in Una vita, più precise quelle di Senilità (Emilio ed Angelina amarono in tutte le vie suburbane di Trieste. Dopo i primi appuntamenti, abbandonarono Sant’Andrea che era troppo frequentato, e per qualche tempo preferirono la strada d’Opicina fiancheggiata da ippocastani folti, larga, solitaria, una salita lenta quasi insensibile).

Poi, nel 1905, l’incontro con James Joyce, le lezioni d’inglese, l’amicizia, il sodalizio letterario. Anche l’arrivo di Joyce a Trieste è romanzesco; lo scrittore

è arrivato a Trieste una bella mattina di due anni prima, dopo aver sbagliato fermata 
ed essere sceso a Lubiana alle quattro del mattino (inoltre lascia la moglie alla 
stazione, va in cerca di via S. Niccolò dove c’è la Berlitz School, si imbatte in una 
rissa di marinai inglesi, si intromette per far da paciere, arriva l’imperialregia 
polizia e impacchetta tutti, mentre la moglie lo aspetta imperterrita sulla 
panchina).[2]

Nel 1923 venne pubblicato La coscienza di Zeno; piacque a Montale, il successo tanto aspettato arrivò (anche se molte critiche furono mosse allo stile del romanzo), e Svevo fu ripagato di tutte le precedenti delusioni letterarie.

Trieste_Piazza Unità d'Italia
Trieste, Piazza Unità d’Italia

Trieste è stata raccontata anche dai poeti: quella di Saba è oggetto di un amore conflittuale, spesso desolata («la topografia della Trieste sabiana è una mappa della tristezza»[3]) e di tanto in tanto, di luogo in luogo, serena: via del Monte è la via dei santi affetti / ma la via della gioia e dell’amore / è  sempre via Domenico Rossetti. Via della Pietà, invece, accennava all’aspetto una sventura / sì lunga e stretta come una barella. Ma leggere Saba solamente in chiave triestina è limitativo; più che la città di Trieste, ha cantato la Città: i personaggi universali che si aggirano per i suoi vicoli (…prostituta e marinaio, il vecchio / che bestemmia, la femmina che bega, / il dragone che siede alla bottega / del friggitore, / la tumultuante giovane impazzita / d’amore) sono umili, ma vicini per questo alle cose più grandi e profonde: sono tutte creature della vita / e del dolore; / s’agita in esse, come in me, il Signore.

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Il tramonto dal Molo Audace

Un articolo di Corrado Stajano, apparso su «Tempo» illustrato il 23 novembre 1969, racconta un suo viaggio nel capoluogo friulano a cinquant’anni dall’annessione. Il giornalista vi trova risentimento, tristezza, e fantasmi asburgici; la città cosmopolita del passato non c’è più, gli uomini di cultura sono partiti, è difficile parlare di eredità mitteleuropea. Ma il mito dello scrittore è immacolato, tutti scrivono a Trieste. Il ritratto di Stajano è abbastanza desolante, ma più che mai dalle sue parole emerge un luogo fortissimamente letterario, impregnato delle rappresentazioni che negli anni ne hanno dato poeti e romanzieri.

E oggi, che ne è di Trieste? Nel mio ricordo una città elegante, un tramonto sul mare arancione, i caffè in cui insieme all’espresso arriva un bicchierino di cioccolata calda, il bollito misto da Pepi – con la senape e il rafano grattugiato che sgrassa la bocca, e un boccale di Dreher. Niente bora, ma il soffio persistente delle parole che l’hanno raccontata.

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Trieste, la statua delle Sartine

Questo post rielabora un brano della mia tesi di laurea, dedicata all’analisi dei Luoghi letterari di Giampaolo Dossena.

[1] Giampaolo Dossena, Luoghi letterari. Paesaggi, opere e personaggi, Sylvestre Bonnard, Milano 2003, p. 650-651.

[2] Ivi, p. 653.

[3] Ivi, p. 656.