Tre luoghi macabri a Milano, Evora e Napoli

Particolare della Capela dos Ossos, Evora (Portogallo)
Particolare della Capela dos Ossos, Evora (Portogallo)

Memento mori! Queste sono le storie di tre luoghi macabri che io ho trovato molto suggestivi per la loro atmosfera spettrale ma soprattutto per la mole di esistenza che vi si respira. Voglio dire, per chi ha sempre provato una forte attrazione per le vite degli altri e in particolare gli sconosciuti, per le loro vite possibili e parallele, trovarsi al cospetto delle spoglie mortali di chi ha concluso la sua vicenda mondana secoli fa mette in soggezione e allo stesso tempo dà il tormento di voler sapere chi erano quelle persone, che mestiere facevano, come sono morte. Ah, il soffio dell’eternità! 

Chiesa di San Bernardino alle Ossa, Milano

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Di Milano si dice spesso che i suoi gioielli più preziosi sono anche i più nascosti. Penso che San Bernardino rientri nella categoria, perché che io sappia non è tanto famosa e si mantiene tutto sommato fuori dai circuiti turistici classici. Forse perché da fuori non sembra neanche una chiesa, ma più un palazzo signorile. Si trova tra il Verziere e via Brolo, accanto alla più maestosa basilica di Santo Stefano Protomartire, a due passi dall’Università Statale. Sapevo della sua esistenza ma non ci avevo mai messo piede fino all’altra mattina: sono passata intorno alle otto e mezza, prima di andare in ufficio. Stavano celebrando la messa e nessuno ha fatto caso a me. Mi sono infilata nel corridoio a destra, seguendo le indicazioni per l’ossario, e mi sono ritrovata in questa cappella a pianta quadrata dalla volta affrescata con un barocchissimo Trionfo di anime in un volo di angeli. Su tutti e quattro i lati, fregi rococò e nicchie piene zeppe di ossa e teschi, disposti in modo tale da formare motivi decorativi e croci. Croci fatte di teschi su mura di teschi. L’impatto è stato forte, perché ero sola in questo luogo elegante e triste, con le note dell’organo che arrivavano da lontano.

L’ossario originario risale al 1210 e fu costruito per raccogliere i resti dei lebbrosi morti nell’ospedale del Brolo, nei cui pressi vennero poste nel 1269 le fondamenta della chiesa primitiva. Nel 1642 crollò il campanile di Santo Stefano e distrusse chiesa e ossario, che vennero ricostruiti nello stile dell’epoca; l’ossario fu completato nel 1695. A lungo si è pensato che gli scheletri conservati qui appartenessero ai martiri cristiani uccisi dagli eretici ariani all’epoca di Sant’Ambrogio; in realtà, le ossa provengono dalle spoglie dei pazienti dell’antico ospedale del Brolo, dalle salme traslate qui alla chiusura dei cimiteri cittadini, da condannati a morte e carcerati, da qualche nobile milanese e dagli appartenenti alla confraternita dei Disciplini che sin dal XIII secolo aveva in questo sito la loro sede (e il cui patrono era appunto San Bernardino. L’altra confraternita della chiesa era quella dei furmagiàtt, i produttori di formaggio, che qui pregavano con la protezione di San Lucio..!)

Narra una leggenda che tra i resti conservati nell’ossario ci siano anche quelli di una ragazzina, che la notte dei morti, il due novembre, si risveglia per trascinare con sé i suoi compagni d’eternità in una danza macabra festosa e rumorosa: dicono che gli scheletri danzanti si facciano sentire fin fuori dalla chiesa.

Pare anche che di qui sia passato, nel 1738, Giovanni V re del Portogallo: fu talmente colpito dall’ossario di San Bernardino che volle costruirne uno uguale a Evora, nel suo Paese (così ho letto da qualche parte, ma la datazione è discordante: all’epoca della visita di Giovanni la Capela dos Ossos di Evora atterriva i visitatori già da un paio di secoli. E’ verosimile però che in seguito al viaggio milanese ne abbia ordinato la ristrutturazione, in modo da renderla ancora più spaventosa).

Capela dos Ossos, Evora (Portogallo)

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Evora, capitale dell’Alentejo e città-museo patrimonio dell’Unesco, custodisce molti tesori. La Capela dos Ossos è uno di essi, e si trova all’interno nell’Igreja di San Francisco, una maestosa cattedrale in stile gotico manuelino. L’idea di costruire una cappella le cui mura fossero letteralmente ricoperte da ossa umane venne a tre monaci francescani in tempo di Controriforma, con l’intento palesemente didascalico di indurre chi vi si trovasse alla contemplazione e alla riflessione sulla caducità e transitorietà della vita in terra. Con un certo umorismo nero, dato che all’entrata della cappella troneggia la frase “Nós ossos que aqui estamos pelos vossos esperamos”, ovvero, “Noi ossa che qua stiamo le vostre aspettiamo”. Si contano all’incirca 5.000 tra teschi e ossa varie, provenienti da vari cimiteri monastici e chiese della zona. Quando l’ho visitata io, lo scorso agosto, c’erano due ragazzi appollaiati su delle scale che restauravano una delle pareti, pulendo amorevolmente con dei pennellini le orbite dei poveri resti.

Su una delle pareti sono appesi due scheletri essiccati, uno di un uomo e uno di un bambino. Dice la leggenda che gli scheletri appartengano al figlio e al marito di una donna che fu a tal punto maltrattata in vita da lanciar loro una maledizione: mai avrebbero potuto trovare pace nel regno dei morti. Secondo una versione, al momento del funerale, la terra si indurì tanto da non permettere di scavare una fossa nel cimitero; secondo un’altra, i becchini si rifiutarono di seppellire l’uomo e il bambino per paura che il terreno tutto intorno marcisse. Allora li appesero lì, in bella vista, dove tuttora spaventano gli avventori della cappella.

Cimitero delle Fontanelle, Napoli

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Alle Fontanelle sono andata proprio nel giorno dei morti, l’anno scorso. È uno dei luoghi che più in assoluto ha colpito il mio immaginario: per l’estensione in altezza e in lunghezza, per il suono dei miei passi che risuonavano nel silenzio di tomba, per la geometrica e tuttavia caotica precisione della disposizione degli innumerevoli teschi. Si estende per circa tremila metri quadrati, lungo gallerie scavate nella roccia e alte 10-15 metri che proseguono a perdita d’occhio, incrociandosi l’una con l’altra. Vengono stimati circa quarantamila resti, disposti lungo le pareti in modo più o meno regolare. E’ un luogo buio, illuminato da qualche lumicino, umido, incredibile.

Il cimitero delle Fontanelle si trova nel rione Sanità, in un’antica cava di tufo che cominciò a essere utilizzata come deposito di cadaveri ai tempi della terribile peste del 1656 che uccise a Napoli più di trecentomila persone. Qui venivano ammucchiati i corpi di chi non poteva permettersi una degna sepoltura: i poveri, i negletti, i senza famiglia (in realtà, pare che qui finissero anche le persone abbienti, che i becchini fingevano di tumulare nei cimiteri e trasportavano poi alle Fontanelle di notte in un sacco). Agli appestati si aggiunsero le salme traslate dalle chiese cittadini dopo la bonifica voluta da Gioacchino Murat e coloro che furono colpiti dall’epidemia di colera del 1836. Nel frattempo, intorno ai resti del camposanto si era venuto a creare un culto pagano di dimensioni preoccupanti, al punto che nel 1969 l’allora Cardinale di Napoli Corrado Ursi ne decretò la chiusura, sperando così di porre fine alla macabra devozione del popolo alle anime pezzentelle. In pratica, chi non aveva morti né santi a cui votarsi adottava nel vero e proprio senso della parola un teschietto, lo andava a trovare, lo lucidava, gli portava fiori e omaggi: in cambio delle preghiere, l’anima sarebbe apparsa in sogno al devoto, e gli avrebbe esaudito la grazia o svelato – perché no – quali numeri giocare al lotto. Se i numeri uscivano o la grazia arrivava il teschio veniva posto al riparo in una teca; se invece la cappuzzella non faceva il suo dovere tornava nel mucchio e il devoto ne sceglieva un’altra. Uno dei segni della grazia ricevuta era il sudore delle testoline, che altro non era che condensa da umidità: se poggiando la mano essa non si bagnava, veniva interpretato  come un cattivo presagio.

Una delle cappuzzelle più famose è quella del Capitano, a cui leggenda vuole fosse devotissima una fanciulla che in lui aveva riposto la preghiera di trovare marito. Quando poi la ragazza andò in sposa, il giorno del matrimonio apparve in chiesa un invitato misterioso vestito da soldato spagnolo che le fece l’occhiolino. Il marito ingelosito gli diede un pugno sul grugno: l’indomani, il teschio del Capitano aveva un’orbita completamente nera. Secondo un’altra versione, il promesso sposo dileggiava la sposa per le morbose attenzioni che dedicava a quelle vecchie ossa e osò addirittura per sfregio infilare un bastone nella cavità dell’occhio del teschio, mentre scherzosamente lo invitava alle sue nozze. Quel giorno apparve effettivamente un uomo sconosciuto: invitato a dire chi era, tolse il mantello e si rivelò in tutta la sua mortifera apparenza. Gli sposini morirono sul colpo.

Le anime delle Fontanelle hanno riposato nell’oblio fino al 2010, quando il cimitero è stato riaperto. Ogni teschio, ogni osso racconta una storia, la propria; la vicenda umana che si cela dietro ognuno di questi resti rappresenta per noi un mistero affascinante, destinato a rimanere tale.

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